Le recenti vicende che stanno interessando l’Oasi Lago Salso di Manfredonia – con la procedura di scioglimento della società di gestione avviata dal socio di maggioranza Parco del Gargano e la successiva offerta di acquisto delle quote societarie da parte del socio di minoranza CSN ONLUS per garantirne la continuità gestionale – hanno suscitato la preoccupazione per il futuro dell’area di numerosi esponenti della società civile che hanno firmato l’appello lanciato da Fulco Pratesi, fondatore del WWF Italia, e Mauro Furlani, presidente nazionale di Pro-Natura. Ma hanno anche dato fiato a virulenti attacchi nei confronti del CSN e della sua storia ventennale, diffusi sui social media e sugli organi di stampa con affermazioni che rasentano e a volte superano – ma questo lo stabilirà un giudice – il limite della diffamazione.

Se non stupisce che questi attacchi provengano da soggetti legati alle frange più estremiste del mondo venatorio e ad interessi privati che tuttora ruotano attorno all’Oasi e alle altre zone umide di Manfredonia, desta meraviglia e preoccupazione che a questi personaggi si sia unito chi all’epoca era tra i soci fondatori del CSN – poi allontanatosi per dissidi personali – e oggi è un esponente di un’importante associazione ambientalista, lasciando presagire inedite alleanze che non faranno certo del bene all’Oasi.

Com’è però nello stile del CSN e come insegnava l’indimenticato giornalista Giuseppe D’Avanzo, alle congetture e alle insinuazioni bisogna rispondere con l’incoercibile forza e durezza dei fatti.

Nel 2002, quando nacque la società di gestione dell’Oasi, degli oltre mille ettari la metà era coltivata a grano, con rese bassissime che a malapena coprivano i costi, a loro volta gravati da un’esorbitante forza lavoro, una quarantina di ex lavoratori socialmente utili ereditati dal Comune di Manfredonia. Dei restanti cinquecento ettari, che costituivano la zona umida, una buona parte era integralmente coperta dal canneto, senza lasciare spazi aperti utili all’avifauna acquatica, depauperata dalla pesante pressione venatoria esercitata per decenni sull’area.

Da subito il CSN, insieme alla società di gestione di cui non era ancora socio, avviò una serie di progettualità per migliorare lo stato dell’ambiente, utilizzando i costi del personale come quota di cofinanziamento per attingere a fondi comunitari, senza che gli enti pubblici soci (Ente parco e comune di Manfredonia) dovessero caricarsi di ulteriori costi. Grazie a queste progettualità, negli anni è stata quasi completamente rinaturalizzata la zona agricola, con 300 ettari di nuovi pascoli e 170 ettari di nuove zone umide, è stato migliorato il canneto, con l’apertura di una decina di ettari di nuovi chiari, e si è investito per far ritornare nell’oasi importanti specie come il grillaio e la cicogna bianca, oggi ben visibile a tutti con i nidi posti sui tralicci della linea elettrica messa in sicurezza grazie all’iniziativa del CSN. Le immagini del prima e dopo parlano da sole. Senza contare le decine di migliaia di ragazzi che in questi anni hanno potuto visitare l’Oasi.

Questi risultati non sono stati raggiunti per caso o per una naturale tendenza di queste specie all’espansione, come qualcuno artatamente vorrebbe far credere, ma con il duro lavoro degli associati del CSN e dei dipendenti e collaboratori della società. Ne è la riprova il fatto che in nessun’altra zona della Capitanata c’è una tale concentrazione di biodiversità come quella presente nell’oasi e che anzi, in altre aree del Golfo di Manfredonia come ad esempio la palude di San Floriano, si è verificata una netta regressione con la scomparsa di decine di ettari di zone umide.

Ma il livore personale di certi personaggi travalica i confini dell’Oasi e arriva ad attaccare anche un altro intervento esemplare a cui il CSN ha lavorato duramente. Parliamo dell’area dell’ex Valle da Pesca, nota anche come Riservetta di Manfredonia, dove insieme alla Regione Puglia e al Consorzio per la Bonifica della Capitanata sono stati ricostituiti 40 ettari di laguna costiera che per decenni erano stati interrati e occupati abusivamente con costruzioni di vario genere, regno incontrastato dei bracconieri nonostante fosse all’interno del Parco. Anche in questo caso, alla bucolica e irrealistica descrizione dello stato dei luoghi antecedente ai lavori fatta dai detrattori del CSN, rispondiamo con i numeri: demoliti 13 fabbricati abusivi per un volume costruito di 1500 metri cubi e 1500 metri quadrati di piazzali in calcestruzzo, rimossi muri, recinzioni e cancelli che erano stati installati per occupare l’area, asportati ingenti volumi di materiali edili di risulta e rifiuti accumulati nel corso degli anni per circa 2000 tonnellate.

Quello che è accaduto per decenni nella Riservetta, che aveva addirittura maggiori vincoli di quelli presenti nell’oasi, è ciò che potrebbe di nuovo accadere anche all’Oasi Lago Salso senza una gestione, come succederà all’indomani dello scioglimento della società. È per questo che difendere la società di gestione significa difendere l’oasi.

Risibile è poi l’affermazione che chiunque altro, in un ambiente naturalmente vocato alla naturalità come l’Oasi, avrebbe raggiunto gli stessi risultati. Sembra quasi l’autogiustificazione di chi, nella sua vita, al massimo è riuscito a bloccare la costruzione di qualche pala eolica.

Se poi a qualcuno dà fastidio che un gruppo di persone di buona volontà abbia deciso di non limitare il proprio impegno nella tutela dell’ambiente alla pura e sterile testimonianza ma si sia rimboccato le maniche per agire concretamente e raggiungere i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, se ne faccia una ragione: non saranno certamente questi vili attacchi a farci desistere.